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C’è lavoro e lavoro

Il lavoro stagionale in agricoltura non è tutto uguale….

Cari amici di Rigenera,

questa settimana abbiamo pensato di proporvi una lettura estiva un po’ impegnativa, ma speriamo utile per conoscere un po’ più da vicino il tema del lavoro stagionale in agricoltura.

Si tratta di un dossier del quotidiano La Repubblica che prova a mettere in luce, anche attraverso la storia di alcuni protagonisti, cosa si nasconde dietro alla verdura ed alla frutta che arriva sulle tavole di molti italiani, convinti che la “migliore offerta” sia la più vantaggiosa per tutti, anche per i lavoratori.

Leggere e pensare ci aiuti a confermare sempre di più scelte di consumo consapevole, perché sono proprio i nostri acquisti che favoriscono logiche più o meno attente alla dignità dell’uomo, al rispetto dell’ambiente, alla tutela dei consumatori.

Da parte nostra rinnoviamo l’impegno a dare concretezza e continuità ad un progetto di Agricoltura Sociale che porti sulle vostre tavole prodotti buoni, sani e solidali e che abbiano il sapore della svolta di vita di Ionut, della crescita professionale di Ahmed, dell’entusiasmo ritrovato di Lorenzo.

Buona estate da tutti noi di Rigenera.

 

Sono bruciati vivi come torce, mentre provavano a riscaldarsi. Annegati come animali stremati dalla sete, precipitando nei pozzi su cui si erano sporti nella speranza di trovare acqua. Sono stramazzati in terra, all’improvviso, come frutti maturi di un albero incolto, uccisi dalla fatica. Ad alcuni, il cuore è esploso, perché infartuato da eroina e antidepressivi somministrati come anestetico alla fatica.
Vivono accanto a noi. Nelle campagne del Piemonte, nelle vigne del Veneto. Nelle industrie lombarde. Nelle campagne a pochi chilometri da Roma. Nelle terre d’oro della Puglia. Quelle, ad esempio, di cui, qualche giorno fa, Chiara Ferragni ha postato una foto sui suoi social, mostrando un vassoio di panzerotti in mano. Non lontano da lì, Camara, 27 anni, era morto di troppo lavoro.
Li chiamano “lavoratori stagionali dell’agricoltura”. Sono donne e uomini italiani e stranieri. Hanno dai 18 ai 60 anni. Sono diversi tra loro. Eppure, tutti uguali. Con il loro lavoro ci danno da mangiare. E noi non riusciamo neppure a dargli da bere. Li paghiamo anche due euro per ogni ora di lavoro, con 40 gradi all’ombra, con la testa piegata verso terra dall’alba al tramonto. Ingrassano i guadagni della grande distribuzione. Di etichette di primo livello dell’agroalimentare. Di loro si sente spesso parlare in tavoli tecnici, protocolli. Accade che, ciclicamente, guadagnino un po’ di indignazione. Eppure, in questi anni, è cambiato poco. Quasi niente. Loro restano dei dannati”.

Continua la lettura qui

(Articolo completo su Repubblica)

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